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giovedì 27 giugno 2013

L'AUSTERITA' UCCIDE LE NOSTRE IMPRESE

Gli speculatori possono essere innocui se sono delle bolle sopra un flusso regolare di intraprese economiche; ma la situazione è seria se le imprese diventano una bolla sospesa sopra un vortice di speculazioni.
John Maynard Keynes



Siamo in profonda recessione. Una stagnazione aggravata da politiche di austerità e rigore di bilancio. Ogni anno si devono trovare circa 80 miliardi di euro per pagare gli interessi sul debito. Per chi lo avesse dimenticato, dal 2014, secondo il patto fiscale europeo, dovremmo anche cominciare a diminuire l'ammontare del debito, circa di 50 miliardi di euro all’anno. Come diceva Totò,: “è la somma che fa il totale” ; infatti il risultato è 130 miliardi di euro che vengono tolti all'economia reale, alle famiglie, ai cittadini per continuare a mantenere banche e finanza creativa che hanno generato i disastri che conosciamo. A tutto questo va aggiunta la ciliegina che completa l'opera: l'impegno obbligatorio di avere il bilancio pubblico in pareggio. Per rispettare tutti questi vincoli si dovranno aumentare le tasse, tagliare ulteriormente la spesa pubblica (pensioni stipendi sono i prossimi obbiettivi) e forse mettere mano nei conti correnti. Alcune di queste cose sono già in atto altre sono momentaneamente messe in stand by. Il Fondo Monetario Internazionale intuendo i pericoli di tenuta sociale da qualche tempo ammette: “sull'austerità ci siamo sbagliati”. Intanto i consumi interni continuano a franare, travolgendo quasi esclusivamente le piccole imprese artigianali e commerciali e con esse i loro lavoratori. Non facciamo finta di vederlo, c'è uno scontro evidente tra il potere finanziario e l'economia reale. Questo contrasto lo viviamo ogni giorno nei nostri territori. Le banche pur essendo state aiutate, sostenute e rilanciate non concedono credito alle pmi, e quando lo concedono, oltre alle numerose garanzie, dettano condizioni così ricche di capestri che alle imprese spesso non conviene accettare. Di fronte a questo atteggiamento ci vorrebbero immobili o peggio a braccia aperte e ginocchia piegate. Non ci stiamo. Non ci rassegniamo perché siamo coscienti che dentro questo conflitto si giocano le sorti del futuro delle nostre piccole medie imprese. Il tempo della discussioni è finito. Se abbiamo ancora un ruolo è venuto il momento di dire basta, di dire no a queste politiche economiche criminali.

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