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venerdì 30 agosto 2013

L’autoporto serve a rilanciarci ma va completato nei tempi previsti e collegato

L'autoporto, piaccia o no, è una infrastruttura strategica per l'economia del nostro territorio. Molti l'hanno sempre vista come fumo negli occhi. Tanti non sanno nemmeno cosa sia. Forse è per questo motivo che la politica locale (buona parte della deputazione regionale) non l'ha mai difeso”. E’ quanto sostengono in un documento il presidente della Cna territoriale di Vittoria, Giuseppe Santocono, con il responsabile organizzativo, Giorgio Stracquadanio.
Sicuramente – aggiungono – non è un’opera che ammalia, che crea fascino o attrazione come l'aeroporto, ma se il nostro territorio vuole avere un ruolo nella gestione e movimentazione delle merci, ha bisogno di un complesso organico di strutture e servizi integrati, finalizzati allo scambio di merci tra le diverse modalità di trasporto. L'autoporto possiede questa specificità. Così come pensiamo che la struttura appena sarà completata debba puntare immediatamente alla realizzazione di un polo del freddo dedicato alla logistica dei prodotti ortofrutticoli e allo sviluppo del terminal intermodale transfrontaliero utilizzando i porti di Pozzallo e Catania. Ma per far questo, intanto, serve rispettare la tabella di marcia che porta alla realizzazione dell’opera. I ritardi nei pagamenti dei Sal (Stati avanzamento lavori), le polemiche a rimbalzo tra Comune e Regione non servono. Anzi, rischiano di far apparire poco credibili i contendenti, penalizzano l'impresa costruttrice, rallentano la realizzazione dell'opera e indeboliscono il territorio”. “Qualche settimana fa – proseguono Santocono e Stracquadanio – la nostra organizzazione aveva invitato il sindaco a guidare il territorio verso un nuovo modello di sviluppo, invito che il sindaco ha accolto positivamente. Se vogliamo che questa zona diventi appetibile, occorre passare all'operatività. L'autoporto è una delle strutture che serve a rilanciarci, ma va completata nei tempi previsti e collegata. Tutti abbiamo l'obbligo di attivarci ma serve una guida istituzionale capace di coinvolgere il territorio, abile nel raccogliere le giuste sollecitazioni e in grado di individuare i percorsi condivisi che rimettano in movimento la nostra zona. Noi siamo disponibili. Attendiamo che qualcosa succeda”.


giovedì 29 agosto 2013

Lettera a livesicilia.it sulla polemica CRIAS, Nasca e Giardina

Lettera a livesicilia.it sulla polemica 

CRIAS, Nasca e Giardina

Da qualche giorno leggo sul vostro giornale telematico (www.livesicilia.it) l'interessate botta e risposta tra il neo commissario straordinario della CRIAS, avv. Filippo Nasca, e il direttore generale della stessa CRIAS, avv. Lorenza Giardina. E' veramente singolare vedere come due super dirigenti, ben retribuiti, invece di risolvere i problemi di accesso al credito delle imprese artigiane siciliane  (attività travolte da una crisi che non hanno creato loro) trovino il tempo per duettare sulla stampa dicendo cose si legittime ma ammantate, incartate da questioni personali che prevalgono in modo latente. Cose che poco o nulla hanno a che vedere con la funzionalità della stessa CRIAS. 

Egregi avvocati forse avete già dimenticato che la Commissione Europea pochi giorni fa ha certificato come la Sicilia sia tra le regioni più povere e meno competitive d'Europa. La nostra regione, in questa speciale classifica della CE occupa il 235esimo posto su un totale di 262 aree . Non funzionano le istituzioni regionali e locali, non funzionano i servizi, la burocrazia è la padrona dell'Isola capace di bloccare ogni iniziativa a cominciare dall'utilizzo dei fondi europei. E in merito a ciò nessuno si indigna, nessuno sente l'esigenza di polemizzare. Sicuramente saprete che la nostra regione ha speso solo il 18% dei soldi relativi alla programmazione 2007-2013. Un vostro collega, il direttore generale della Regione Vincenzo Falgares, a proposito del programma Fesr è stato molto chiaro, ha dichiarato: “occorre duplicare il livello di spesa. La Sicilia potrebbe perdere nel 2013 una quota che va dai 350 ai 702 milioni di euro”. Mentre si scivola nel baratro si perde tempo a cinguettare? Vi invitiamo gentilmente a chiarire i vostri problemi in privato. Attivatevi in base alle competenze che avete per far funzionare bene la Crias, siete pagati per questo. Individuate sprechi e anomalie, salvate dal baratro uno dei pochi enti pubblici in grado di sostenere le uniche attività che non chiedono assistenza ma vogliono fare investimenti in questa terra creando lavoro e sviluppo vero (le imprese artigiane), fate partire la moratoria (una fiction infinita), date una risposta alle tante domande di prestito d'esercizio e mutui per investimento che da tempo devono essere esitate. In poche battute: dedicatevi al vostro importante lavoro. La pazienza delle imprese che rappresento ha un limite e queste limite è prossimo, molto prossimo, alla saturazione.


Giuseppe Santocono

Presidente CNA (Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media Impresa) Vittoria (Rg).

Continua il calo dei prestiti ai privati. In Italia -4,4% per le imprese.

 A luglio, segno meno per il quindicesimo mese consecutivo per i prestiti a famiglie e imprese nell'eurozona, nonostante i recenti segnali di ripresa. Lo comunica la Banca Centrale Europea, spiegando che su base annua la contrazione è stata dell'1,9%, dopo il -1,6% di giugno. In Italia, secondo i dati della Bce, i prestiti alle famiglie sono scesi dell'1,1%, mentre quelli alle società non finanziarie sono calati del 4,4%, segnando comunque un rialzo rispetto al mese precedente.

martedì 27 agosto 2013

Il nero va di moda... E' la crisi bellezza

Il Sole 24 Ore ha redatto una classifica sull'evasione fiscale. La nostra provincia è tra le più "virtuose".

http://www.corrierediragusa.it/articoli/economia/ragusa/23215-l-evasione-fiscale-e-di-rigore-in-provincia-di-ragusa-quando-si-dice-che-il-nero-va-di-moda.html

Zona franca urbana a Vittoria, creare un tavolo per monitorare lo stato di avanzamento dell’articolato progetto

Ripartire: questa è la volontà che emerge con determinazione tra le nostre imprese. Stiamo vedendo con i nostri occhi come questa crisi stia falcidiando, in modo quasi esclusivo, quella galassia di piccole imprese, di imprenditori individuali, che per anni e tra mille contraddizioni, sono state una risposta socio-economica capace di resistere e in grado di dare un ruolo a questa terra”. E’ quanto afferma il presidente della Cna territoriale di Vittoria, Giuseppe Santocono. Il quale aggiunge: “Fino ad oggi sono mancate quelle risposte radicali, quei cambiamenti che sappiano scuotere e rimettere in movimento il nostro territorio. Vittoria è nel pieno di una metamorfosi economica e sociale. Attualmente siamo sospesi tra ciò che non è più e ciò che non è ancora. In mezzo a questa incertezza è arrivato il riconoscimento della Zona franca urbana. In una porzione della città si concentreranno programmi di defiscalizzazione per la creazione di micro imprese e riqualificazione urbana. Si proverà così a incentivare lo sviluppo di quartieri caratterizzati da disagio sociale, economico e occupazionale ma che presentano potenzialità di sviluppo inespresse come l'area di Fanello e di Marangio. Un’opportunità di riscatto che era sfuggita e per il rotto della cuffia ci ha visti rientrare. In questi giorni tanto è stato detto e scritto, molte cose però per l'enfasi, giustificata, sono poco precise. Intanto bisogna capire a quale tipo di attività sono rivolte le agevolazioni”.
La Cna precisa che, secondo l'art. 3 del decreto del ministero dello sviluppo economico del 10/04/2013, i beneficiari sono le imprese micro o piccole iscritte al registro delle imprese costituite alla data di presentazione dell'istanza, oppure costituite entro il 31/12/2015. Il decreto indica con chiarezza che non sono ammesse alle agevolazioni le imprese attive nel settore della produzione primaria dei prodotti agricoli. Quindi l'agricoltura è fuori. “Le imprese che potranno ottenere esenzione dalle imposte sui redditi, l'esenzione dell'Irap, l'esenzione dell'Imu per gli immobili delle attività siti nella zona franca e l'esonero dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente – prosegue Santocono – sono solo quelle che operano nel settore industria, artigianato, commercio, turismo e servizi. Va anche aggiunto che sono previsti progetti di riqualificazione urbana. Per gestire al meglio l'opportunità della Zona franca urbana, sarebbe giusto prevedere un tavolo che avrà il compito di ricevere e valutare le istanze che saranno avanzate da parte degli interessati, provvedendo all’inoltro delle pratiche al Suap (Sportello unico attività produttive) o al Sue (Sportello unico edilizia) per quanto di rispettiva competenza, oltre che monitorare lo stato di avanzamento del progetto, suggerendo gli eventuali correttivi ai progetti di sviluppo dell’area e le iniziative da intraprendere per il raggiungimento dei risultati. Il tavolo della “Zona franca urbana” dovrà essere una struttura agile e veloce, in grado di affrontare le dinamiche complesse che sono inserite nei programmi di rigenerazione urbana, al fine di favorire il raggiungimento degli obiettivi. Quest'opportunità, legata ad una difficoltà del nostro territorio, deve diventare occasione di riscatto e di riqualificazione. Non sprechiamola”.

lunedì 19 agosto 2013

"MODELLO RAGUSA" ADDIO?

Lo abbiamo detto, lo abbiamo scritto, adesso è ufficiale: il "modello Ragusa" è in coma profondo. servono politiche che sappiano rilanciare il nostro sistema economico, serve una classe dirigente veramente capace e determinata nel rilanciare il territorio.

da  www.corrierediragusa.it

Un primato non certo invidiabile. Ragusa è ultima per tasso di crescita numerica delle imprese registrate alla Camera di Commercio. Il dato è riferito al secondo trimestre di quest´anno ed è aggiornato a giugno. Tra nuove iscrizioni e cancellazioni il saldo è infatti di -194 e gli analisti sono tutti concordi nel rilevare che la crisi economica è ancora viva e la provincia non riesce ad uscire dal tunnel in cui è entrata ormai da qualche anno. Nel secondo trimestre di quest´anno le imprese registrate risultano essere poco più di 35 mila ed il saldo negativo con le cancellazioni pone la provincia iblea al terzultimo posto nella classifica nazionale dopo Napoli e Padova ed al primo in Sicilia. Nel periodo preso in esame le imprese nuove registrate sono state 644 mentre quelle che hanno ufficializzato la cessazione dell´attività sono state 838 con un aumento del 70 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012. L´analisi più approfondita del dato oggettivo mette in rilievo che le imprese che scompaiono e soffrono di più sono quelle individuali che sono storicamente la base dell´economia iblea ed hanno contribuito a creare il "modello Ragusa" che a questo punto resta un bel ricordo.

Altro dato negativo registrato dalla Camera di commercio sono i fallimenti perchè ben 28 procedure sono state avviate nei tre mesi presi in esame, sete in più rispetto al 2012. I dati positivi si limitano all'imprenditoria femminile e giovanile con riferimento soprattutto alle imprese individuali nel settore agricolo e commerciale. Crescono anche i titolari stranieri di imprese, ben 117 le nuove iscrizioni dall'inizio dell´anno con un aumento sensibile rispetto al 2012.

http://www.corrierediragusa.it/articoli/economia/ragusa/23148-ragusa-e-ultima-per-tasso-di-crescita-numerica-delle-imprese-registrate-alla-camera-di-commercio.html


sabato 17 agosto 2013

Dottrina del rigore addio (?) Vai a fidarti di certi "accademici".

Uno studio dell’Università del Massachusetts-Amherst smentisce la celebre teoria di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff sul rapporto fra livello del debito pubblico e crescita. La polemica è destinata a durare a lungo nei circoli accademici, ma ha già avuto l’effetto di ridimensionare la credibilità scientifica degli appelli all’austerità.


di Maurizio Ricci, da Repubblica, 18 aprile 2013
Rischia di essere lo scandalo accademico del secolo. Ma, soprattutto, è un colpo durissimo alle fondamenta della dottrina dell’austerità: ovvero meno spese, più tasse, stringere, anche brutalmente, la cinghia, per ridurre deficit e debito, come premessa indispensabile per il rilancio dello sviluppo. Al centro della polemica, due fra i più prestigiosi economisti al mondo, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, di Harvard, e lo studio con cui, nel 2010, indicavano, sulla base di un’ampia comparazione storica, l’esistenza di uno stretto rapporto fra livello del debito pubblico e crescita. Più esattamente, quando il rapporto fra debito e Pil supera il 90 per cento (in Italia viaggiamo verso il 130 per cento) si apre la recessione: in media, storicamente, una contrazione dell’economia dello 0,1 per cento. Non è l’unico risultato a cui arrivano Reinhart e Rogoff, ma è quella semplice formula che ha fatto il giro del mondo, influenzando il dibattito politico sull’economia, negli Stati Uniti come in Europa. Solo che non è vero.
Un gruppo di economisti dell’Università del Massachusetts-Amherst ha rifatto i conti e, sulla base della stessa serie storica di Reinhart e Rogoff, arriva ad una conclusione opposta: in media, storicamente, i Paesi con un debito superiore al 90 per cento non vanno in recessione. Al contrario, crescono del 2,2 per cento: un tasso non propriamente mozzafiato, ma, nelle condizioni in cui è, ad esempio, l’Italia, sufficiente a far venire l’acquolina in bocca.
Come è possibile? Nessuno, tranne qualche giornalista maligno, si spinge a dire che due economisti del livello di Reinhart e Rogoff abbiano deliberatamente manipolato i dati. Avrebbero, però, commesso errori grossolani, anche per ricercatori assai più modesti. Uno è puramente materiale (“la maledizione di Excel” l’hanno subito definita colleghi comprensivi, riferendosi al software con cui, abitualmente, si compilano le tabelle sul computer): un errore di codificazione ha escluso completamente dai calcoli Paesi come Australia, Austria, Belgio, Canada e Danimarca. Un secondo errore, più scivoloso, è la decisione di escludere alcuni Paesi, in alcuni anni. Ad esempio, nel periodo 1946-51, gli autori considerano solo l’ultimo per la Nuova Zelanda (che, all’epoca, aveva un debito oltre il 90 per cento), quando il Paese registra una recessione del 7,6 per cento. Avessero considerato tutti e cinque gli anni, avrebbero registrato una crescita media del 2,6 per cento. L’errore è, infine, amplificato dal sistemazione di ponderazione dei risultati utilizzato dagli autori.
Alle critiche, Reinhart e Rogoff hanno replicato con qualche imbarazzo, ammettendo l’errore di tabulazione e attribuendo l’esclusione dal calcolo di alcuni anni, per certi Paesi, alla mancanza dei relativi dati, al momento della stesura del loro saggio. Ma difendono il messaggio principale del loro lavoro, cioè il collegamento fra debito e crescita: «La crescita ad alti livelli di debito – dicono - è la metà del tasso di espansione che si registra ai livelli più bassi di debito». Che, però, non assomiglia affatto alla formula per cui, oltre il 90 per cento di debito rispetto al Pil, si va in recessione. E che è, per certi versi, anche un po’ ovvia. Paul Krugman si affretta a sottolineare che non è affatto detto che sia il debito a limitare la crescita. E’ probabile che avvenga il contrario: come sostengono, da tempo, gli economisti keynesiani, è la bassa crescita a mettere il difficoltà il bilancio pubblico e a far lievitare il debito, non l’opposto.
La polemica è destinata, probabilmente, a durare a lungo nei circoli accademici, ma ha già avuto l’effetto di ridimensionare la credibilità scientifica degli appelli all’austerità, dalle due parti dell’Atlantico. La questione, in realtà, tocca gli Stati Uniti, prima dell’Europa, dove l’austerità, su spinta tedesca, ha più un connotato politico-morale che economico. Ma, anche in Europa i dubbi sull’efficacia dell’austerità sono crescenti. Tanto più che, nei mesi scorsi, l’altro caposaldo scientifico della dottrina dell’austerità era stato corroso dalla critica. Si tratta del lavoro di Alberto Alesina e Silvia Ardagna, che è il braccio speculare delle tesi di Reinhart e Rogoff. Come i due economisti di Harvard sottolineavano che l’alto debito porta alla recessione, Alesina e Ardagna sostengono che l’austerità porta alla crescita. Anche qui, sono i conti ad essere entrati nel fuoco della critica: Alesina e Ardagna guardano al disavanzo pubblico, ma non distinguono fra i casi in cui il disavanzo si è ridotto per l’austerità e quelli in cui è sceso perchè l’economia ha tirato di più. Ci ha pensato, infine, il Fondo monetario internazionale a pubblicare uno studio in cui si liquida l’ipotesi dell’”austerità espansiva” e si sottolinea che l’austerità, sotto forma di tagli alla spesa e aumenti di tasse (più i primi dei secondi, contrariamente alla tesi di Alesina), contrae, invece, l’economia.
L’atteggiamento dell’Fmi è un buon termometro del mutare degli atteggiamenti verso la politica del rigore. Partito, ai tempi della crisi asiatica a fine anni ‘90, con la ricetta dell’austerità ad ogni costo, il Fondo, di fronte alla crisi del 2008, ha progressivamente rovesciato la sua posizione, collocandosi su una posizione sempre più critica verso quello schieramento di alfieri del rigore, che va dall’opposizione repubblicana a Obama, fino al governo dei conservatori a Londra e al ventaglio di falchi dell’eurozona, guidato da Berlino. Il Fmi non rinuncia al risanamento di bilancio, ma ritiene che possa essere realizzato più lentamente, dando spazio a manovre per ravvivare la domanda, che alimenti una ripresa, la quale, a sua volta, riduce i disavanzi di bilancio. E’ l’avviso che, con toni inusualmente aspri, gli economisti di Washington hanno appena recapitato al governo di Cameron a Londra. E, dietro il quale, molti hanno visto un attacco indiretto alle strategie dell’eurozona: parlare a Londra perchè Berlino intenda.
(18 aprile 2013)



mercoledì 7 agosto 2013

SE RIPARTE IL CREDITO RIPARTONO LE IMPRESE

Riformare la CRIAS secondo le esigenze delle imprese artigiane. Proposte della CNA al Commissario della CRIAS e ai parlamentari regionali della nostra provincia.

In Sicilia utilizzare bene i fondi del Programma Operativo Regionale, stanziati dall'Europa, è il problema. Che si tratti di poche decine di euro o di milioni di euro messi a disposizione poco importa, la prassi prevede intanto almeno 262 passaggi prima di arrivare all’effettiva erogazione delle risorse del Programma operativo europeo. Bandi troppo macchinosi, procedure eccessivamente farragionose, basta vedere gli ultimi due avvisi relativi all'artigianato (il bando di selezione con procedura a graduatoria per investimenti, ricerca e infrastrutture e il bando con procedura a sportello) per trovare conferma. A dire queste cose non siamo noi. Il conto è stato fatto dagli uffici del Ministero dello sviluppo economico i quali hanno certificato che esiste un groviglio burocratico di norme, adempimenti, passaggi e pareri capaci di scoraggiare e fiaccare anche il più determinato degli imprenditori. Questo atteggiamento ha provocato e continua a provocare danni enormi alla nostra economia, soprattutto alle piccole imprese. In Sicilia la spesa delle risorse europee è ferma (sempre secondo l'analisi svolta dal Ministero dello Sviluppo Economico) intorno al 19%. La somme certificate sono di 1,1 miliardi e per evitare il disimpegno di oltre 700 milioni la Regione dovrebbe spendere da qui alla fine dell’anno cento milioni al mese, 3,3 milioni al giorno. Ma come si fa se l’iter di un bando qualsiasi, anche il più semplice, dura come minimo tre anni? Una soluzione potrebbe essere quella di mettere una parte significativa di queste somme nel fondo di rotazione della CRIAS (come anche IRCAC e IRFIS) e cominciare a dare credito alle imprese. I bandi “cervellotici e confusionari” pare che servano più a certi studi di consulenza che alle imprese. Credito per tanti quindi e non contributi per pochi intimi. Rafforzando notevolmente il fondo di rotazione molte domande di prestito d'esercizio e mutui ipotecari per investimenti, che giacciono inevase per mancanza di fondi, verrebbero finalmente soddisfatte. Si rimetterebbero in moto migliaia di imprese attualmente in difficoltà e si avrebbe liquidità a costi bassissimi. Naturalmente, i tassi d'interesse che applica la CRIAS, vanno mantenuti invariati così come va mantenuto il criterio di affidamento che fortunatamente è lontano dalle logiche degli istituti bancari cioè senza garanzie. Però, per quanto riguarda il credito d'esercizio, vanno aumentati gli importi da erogare (attualmente vanno da € 5.000, € 30.500,00). L'ipotesi che avanziamo e di nuovi “prodotti” che prevedano prestiti d'esercizio a partire da € 10.000,00 fino ad un massimo di € 50.000,00. L'attività artigianale è cambiata, da lavoro autonomo si è trasformata in impresa quindi servono prodotti di accesso al credito diversi, più confacenti alle nuove esigenze. Ovviamente vanno anche rivisti i periodi di rimborso, che devono essere sempre commisurati all'importo concesso ma non può più essere minimo 25 - max 29 rate mensili con quattro mesi di preammortamento. La proposta che avanziamo è minimo 36 e max 60 rate mensili senza nessun periodo di preammortamento. Naturalmente l'importo del finanziamento deve essere sempre determinato in base al volume d'affari che si evince dall'ultima denuncia IVA dell'impresa. Alle imprese artigiane serve liquidità a costi bassi e un po più dilazionata nel tempo. La CRIAS se opportunamente riformata e modernizzata può diventare nuovamente protagonista del processo di industrializzazione dell'economia siciliana e del nostro territorio in particolare, sostenendo il rafforzamento e la crescita delle attività artigianali che da sempre creano sviluppo, reddito e occupazione nella legalità. Non favorire accesso al credito a questo modello dimensionale d'impresa, non modernizzare la CRIAS (cda costoso e poco utile così come le consulenze esterne), alla luce di questa crisi, significa non sostenere la crescita dei territori.