La sindrome
di Fort Apache. E' questa la metafora che forse descrive al meglio
l’atteggiamento degli istituti bancari della città di Vittoria. E’
quanto denunciano il presidente della Cna territoriale, Giuseppe
Santocono, con il responsabile organizzativo, Giorgio Stracquadanio.
“Al di qua
della palizzata – dicono in un documento – “i buoni”, gli
investimenti finanziari. Fuori i cattivi, i nemici, le imprese che
cercano credito per fare investimenti, per pagare le tasse o per
pagare i dipendenti. Le banche si sono chiuse a riccio, non concedono
credito e a chi è in difficoltà viene chiesto senza tanti scrupoli
di rientrare immediatamente. Questo atteggiamento sta costringendo
molte imprese locali alla chiusura o peggio al fallimento. L'accesso
al credito in questa città è diventato un sogno (o forse sarebbe
meglio dire un incubo). Viene negato anche davanti alla garanzia di
un consorzio fidi. In quei pochi casi, quando viene erogato il
rating, quel giudizio insindacabile sulla capacità di far fronte
agli impegni, impone quasi sempre tassi d’interesse sostanziosi. Un
atteggiamento che riesce a fiaccare anche quelle imprese determinate
a resistere”.
Santocono e
Stracquadanio chiariscono: “L’economia di Vittoria rallenta
giornalmente. Quel tessuto di micro e piccole imprese che ha
caratterizzato e reso forte economicamente la nostra realtà, si sta
via via affievolendo. In dieci anni le imprese attive del settore
artigianato sono passate da oltre 1.000 a meno di 700 (685 al 2
febbraio 2013). La disoccupazione, soprattutto quella giovanile, in
provincia di Ragusa (e quindi anche a Vittoria) è schizzata passando
dal 23,3% del 2010 al 41,45% del 2011, quella complessiva (forza
lavoro di età compresa fra 15-64 anni) è di poco oltre il 40%. La
criminalità, in tutte le sue forme, si è riaffacciata gestendo nei
fatti la crisi con i suoi metodi. Davanti a questo scenario gli
istituti bancari, oltre a gestire i risparmi raccolti nel territorio,
sono le uniche imprese che hanno ricevuto prestiti a tassi bassissimi
dalla Bce e aiuti di Stato, ma queste somme, in buona parte, sono
utilizzate nei giochi finanziari. Ferisce
e indigna vedere come questi soldi non siano impiegati per rimettere
in moto l'economia locale. L’autoritarismo gestionale di capitali
non propri, ma di cui però si dispone a proprio grado e piacimento,
è diventato inconcepibile e fastidioso.
E' venuto il momento di
dirlo forte e chiaro: gli istituti finanziari devono rimettere nel
circuito economico sano le somme che hanno ricevuto altrimenti su di
essi ricadranno le responsabilità della desertificazione economica”.
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