Sono
il titolare di un impresa artigiana associata alla CNA che opera nel
comparto costruzioni. La mia attività negli anni si è sviluppata
non solo dimensionalmente ma anche specializzandosi e qualificandosi.
Malgrado la crisi, riesco a resistere. Anche se il lavoro nell'ultimo
periodo ha subito un piccola flessione non ho licenziato nessuno dei
miei dipendenti. Il rapporto umano e di fiducia che si è instaurato
tra me e chi mi collabora mi impone di essere rispettoso nei
confronti di chi ha contribuito insieme a me alla crescita della mia
impresa. Questo mio riguardo (non sono per nulla pentito) ha
leggermente intaccato le risorse finanziarie della mia attività.
Fortunatamente nulla di preoccupante, sono ottimista per natura e so
anche che riuscirò insieme a tanti piccoli imprenditori come me ad
uscire fuori da questa situazione. La sensibilità e l'ottimismo però
non trovano dimora negli istituti di credito. La banca di cui sono
cliente da anni, dove ho fatto canalizzare gli stipendi dei miei
dipendenti, dove sono depositati i miei piccoli risparmi, appena ha
avvertito la mia difficoltà ha immediatamente sentito l'esigenza di
comunicarmi una “PROPOSTA
DI MODIFICA UNILATERALE DEL CONTRATTO RELATIVO AL RAPPORTO N.... A
LEI/VOI INTESTATO”. La
proposta UNILATERALE consisteva
nell'aumentare
il tasso debitore di circa due punti in percentuale. Il
motivo della variazione veniva spiegato nella lettera: o
Tali
variazioni si sono rese necessarie in considerazione dell'incremento
del Suo rischio creditizio quale evidenziato dagli indicatori
qualitativi adottati dalla banca nell'abito delle procedure e tenuto
altresì conto del deterioramento dello scenario macroeconomico che
richiede un'analisi continua delle singole posizioni affidate.
Questa
cosa non mi ha preoccupato ma mi ha fatto riflettere.
Se
avessi licenziato i miei dipendenti le considerazioni
dell'incremento del MIO
rischio
creditizio...gli
indicatori qualitativi...gli scenari macroeconomici...
sicuramente
non sarebbero mutati (IO
però non avrei avuto il coraggio di guardarmi allo specchio).
Quindi,
se non faccio investimenti, se non creo o non mantengo i livelli
occupazionali, cioè
se non faccio impresa,
secondo la banca ho un ottimo rating(??) Ma le banche (sarei
fortemente ingeneroso se indicassi solo la mia) che imprese sono? Io
sono un imprenditore
perché rischio, investo, creo nel mio piccolo occupazione e
sviluppo, non mi rassegno davanti alle difficoltà di una crisi che
sto subendo insieme a tanti altri. Le
banche (soprattutto nella mia città) hanno avuto e hanno invece il
ruolo dei prenditori.
Hanno utilizzato i nostri risparmi per giocare d'azzardo nel casinò
della finanza perdendone sicuramente una buona parte. Hanno ricevuto
immediatamente aiuti dalla Stato (e quindi anche da me) mentre le
piccole imprese ancora attendono. Hanno incassato gli aiuti dalla
BCE. Tutto questo sostegno che fine ha fatto? L'economia reale, il
territorio si aspettava qualcosa. Invece no. Hanno
dimenticato
che gli attori veri dello sviluppo sono le imprese sane, quelle che
operano nella legalità, le stesse che producono risorse necessarie
quali: occupazione, reddito e risparmio. Le banche, quando le cose
andavano bene, con fastidio e cercando sempre più garanzie di quante
ne servivano,
si sforzavano di sostenere l'economia
sana di questo territorio. Ora, con la crisi in atto, la stanno
definitivamente affondando. Davanti
a queste evidenze sono io (sono convinto che tantissimi la pensano
come me) che propongo unilateralmente, al sistema bancario, più
chiarezza nelle procedure che adotta, maggiore trasparenza
nell'utilizzo delle somme che gestisce e riceve come aiuto, massimo
rispetto per chi fa veramente impresa. Scaricare le proprie
difficoltà sulle piccole imprese, e non contenti, umiliarle e
mortificarle con comunicazioni che presentano un'analisi generica
utile a giustificare il modo e il metodo per spillare ancora soldi mi
sembra veramente eccessivo.
La
politica, se ha ancora un pizzico di dignità e se è ancora mossa da
un minimo di passione per le questioni vere, si attivi.
L'immobilismo e il silenzio sono parenti stretti della complicità.
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