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lunedì 3 febbraio 2014

Reagire alla crisi e non piangersi addosso.


La crisi “esplosa” nel 2008 ce l'hanno rappresentata come un fenomeno improvviso, un terremoto, capitato per caso a quel sistema finanziario, che secondo il pensiero unico funzionava perfettamente. Non c'è nulla di accidentale in quello che stiamo vivendo. La politica invece di favorire l'economia reale ha favorito lo sviluppo senza limite delle attività finanziarie simili ad una lotteria. La creazione illimitata di denaro ci ha invaso, rendendo del tutto impossibile stabilire quanti soldi ci fossero in circolazione. Il problema è che il denaro creato dal nulla può sì essere prontamente convertito in beni e servizi reali, ma altrettanto velocemente può scomparire in ogni momento, come è avvenuto tra il febbraio e l'ottobre del 2008. Stabilito che la crisi in atto è un fenomeno strutturale, non un incidente di percorso, va anche precisato che la stessa ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. Penso che questo riguardi anche la nostra CNA. Noi, tutti noi, abbiamo in parte assecondato i vizi della finanza e della politica ma adesso la nostra organizzazione ha bisogno di logiche che modifichino l'attuale andamento. La domanda che da tempo mi pongo e pongo è: alla luce della crisi. che si è ormai consolidata, e ha colpito direttamente il modello imprenditoriale che noi rappresentiamo, qual'è la nostra progettualità? Io penso (correggetemi se sbaglio) che ciò che noi vogliamo rappresentare (le PMI) abbia solo subito. Non dico che siamo rimasti immobili o non abbiamo fatto nulla, dico che siamo stati presi alla sprovvista e per questo non siamo riusciti ad essere incisivi. Mentre il sistema finanziario è stato immediatamente aiutato, su di noi e sulle nostre imprese si è abbattuta con forza l'austerità secondo il vecchio adagio latino: “dura lex sed lex”, la legge è dura ma è la legge. Cito un fatto su tutti, poche settimane, la vedova dell'imprenditore artigiano bolognese che lo scorso anno si suicidò perché travolto dai debiti, si è vista recapitare da Equitalia – nella qualità di erede - una cartella di 60 mila euro. Siccome la legge è legge, gli enti dello stato hanno subito precisato: “non è nelle possibilità nè di Equitalia, nè dell'Agenzia non rispettare quanto prevede la legge, per cui solo un intervento del Parlamento può cancellare il debito”. Rischio e flessibilità sono concetti che valgono solo per le imprese (soprattutto le piccole) e per i lavoratori, mai per le banche (Montepaschi è l'esempio più eclatante) o per gli organi della stato (Equitalia). Li ogni forma di sostegno (guai chiamarla assistenza) o di rigidità sono una risorsa . Questo duplice atteggiamento ci dice con estrema chiarezza che tutte le istituzioni di questo paese hanno avviato la cultura dello scarto. Un metodo che punta ad isolare, zittire, mortificare, umiliare persone messe in difficoltà da una crisi che non hanno prodotto, siano esse imprenditori, lavoratori, pensionati e disoccupati. Soggetti che noi in molti casi rappresentiamo e che giornalmente e da tempo ci dicono: “ma la CNA cosa sta facendo?” Non nascondo che sempre più spesso ho difficoltà a rispondere. E' venuto il momento di reagire, la fase “congressuale” è finita, adesso bisogna stare sulle tante questioni che assillano ciò che noi abbiamo deciso di rappresentare. Questa crisi non attende, avanza travolgendo, sta sbaragliando anche il sistema di rappresentanza, cioè anche noi. Se non si trovano soluzioni per far ripartire i consumi interni ci avvieremo velocemente verso la desertificazione economica. Se la tanto citata “ripresina” non produce occupazione è una falso risveglio. Se non si rimette in moto l’accesso al credito stiamo parlando di aria fritta. Se non si riduce il carico fiscale si raccontano solo fanfaluche. Ma soprattutto se non si rivede il sistema di riscossione dei tributi e dei contributi esercitato da Equitalia e Riscossione Sicilia rischiamo di essere travolti. Negli ultimi 15 anni si sono accumulati crediti non riscossi per lo Stato pari a 545 miliardi. Mi rimbombano in testa le parole del direttore generale dell'agenzia delle entrate, Attilio Befera, nell'audizione del 22 gennaio scorso alla Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria: “Dei 545 miliardi teoricamente, saranno riscuotibili il 5 o il sei per cento”. Equitalia e Riscossione Sicilia sono in default, malgrado il “decreto del fare” non hanno abbassato gli aggi, non sono in grado di riscuotere oltre il 90% delle somme, ma continuano a bloccare le imprese già in difficoltà. La domanda è terribilmente semplice: cosa aspettiamo a chiedere con forza una profonda revisione del sistema riscossivo? E' come se anche noi lavorassimo sottraendo mentre invece serve aggiungere. Non sto mettendo in discussione il fatto che i debiti non debbano essere onorati e le tasse non devono essere pagate. Dico che il sistema, per bocca di chi lo sta gestendo non regge, quindi va cambiato. La crisi è forte ma «noi» pensiamo a lavorare sodo, fidandoci dei nostri istinti ma soprattutto usciamo dall’ombra e attacchiamo. Da questa crisi si esce facendo, al meglio possibile, le cose che sappiamo fare soltanto noi. 

P.s.

Avanzo una proposta che può servire alle imprese e allo Stato. Spero possa essere presa in considerazione.
Giuseppe Santocono
Presidente Cna Vittoria

Componente direzione regionale CNA Sicilia

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