La
crisi “esplosa” nel 2008 ce l'hanno rappresentata come un
fenomeno improvviso, un terremoto, capitato per caso a quel sistema
finanziario, che secondo il pensiero unico funzionava perfettamente.
Non c'è nulla di accidentale in quello che stiamo vivendo. La
politica invece di favorire l'economia reale ha favorito lo sviluppo
senza limite delle attività finanziarie simili ad una lotteria. La
creazione illimitata di denaro ci ha invaso, rendendo del tutto
impossibile stabilire quanti soldi ci fossero in circolazione. Il
problema è che il denaro creato dal nulla può sì essere
prontamente convertito in beni e servizi reali, ma altrettanto
velocemente può scomparire in ogni momento, come è avvenuto tra il
febbraio e l'ottobre del 2008. Stabilito che la crisi in atto è un
fenomeno strutturale, non un incidente di percorso, va anche
precisato che la stessa ci
obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a
trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e
rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di
discernimento e di nuova progettualità. Penso che questo riguardi
anche la nostra CNA. Noi, tutti noi, abbiamo in parte assecondato i
vizi della finanza e della politica ma adesso la nostra
organizzazione ha bisogno di logiche che modifichino l'attuale
andamento. La
domanda che da tempo mi pongo e pongo è: alla
luce della crisi. che si è ormai consolidata, e ha colpito
direttamente il modello imprenditoriale che noi rappresentiamo,
qual'è la nostra progettualità?
Io penso (correggetemi se sbaglio) che ciò che noi vogliamo
rappresentare (le PMI) abbia solo subito. Non dico che siamo rimasti
immobili o non abbiamo fatto nulla, dico che siamo stati presi alla
sprovvista e per questo non siamo riusciti ad essere incisivi. Mentre
il sistema finanziario è stato immediatamente aiutato, su di noi e
sulle nostre imprese si è abbattuta con forza l'austerità secondo
il vecchio adagio latino: “dura
lex sed lex”,
la legge è dura ma è la legge. Cito un fatto su tutti, poche
settimane, la vedova dell'imprenditore artigiano bolognese che lo
scorso anno si suicidò perché travolto dai debiti, si è vista
recapitare da Equitalia – nella qualità di erede - una cartella
di 60 mila euro. Siccome la legge è legge, gli enti dello stato
hanno subito precisato: “non
è nelle possibilità nè di Equitalia, nè dell'Agenzia non
rispettare quanto prevede la legge, per cui solo un intervento del
Parlamento può cancellare il debito”.
Rischio e flessibilità sono concetti che valgono solo per le
imprese (soprattutto le piccole) e per i lavoratori, mai per le
banche (Montepaschi è l'esempio più eclatante) o per gli organi
della stato (Equitalia). Li ogni forma di sostegno (guai chiamarla
assistenza) o di rigidità sono una risorsa . Questo duplice
atteggiamento ci
dice con estrema chiarezza che tutte le istituzioni di questo paese
hanno avviato la cultura dello scarto. Un metodo che punta ad
isolare, zittire, mortificare, umiliare persone messe in difficoltà
da una crisi che non hanno prodotto, siano esse imprenditori,
lavoratori, pensionati e disoccupati. Soggetti che noi in molti casi
rappresentiamo e che giornalmente e da tempo ci dicono: “ma
la CNA cosa sta facendo?”
Non nascondo che sempre più spesso ho difficoltà a rispondere. E'
venuto il momento di reagire, la fase “congressuale” è finita,
adesso bisogna stare sulle tante questioni che assillano ciò che noi
abbiamo deciso di rappresentare. Questa
crisi non attende, avanza travolgendo, sta sbaragliando anche il
sistema di rappresentanza, cioè anche noi.
Se
non si trovano soluzioni per far ripartire i consumi interni ci
avvieremo velocemente verso la desertificazione economica. Se la
tanto citata “ripresina” non produce occupazione è una falso
risveglio. Se non si rimette in moto l’accesso al credito stiamo
parlando di aria fritta. Se non si riduce il carico fiscale si
raccontano solo fanfaluche. Ma soprattutto se non si rivede il
sistema di riscossione dei tributi e dei contributi esercitato da
Equitalia e Riscossione Sicilia rischiamo di essere travolti. Negli
ultimi 15 anni si sono accumulati crediti non riscossi per lo Stato
pari a 545 miliardi. Mi
rimbombano in testa le parole del direttore generale dell'agenzia
delle entrate, Attilio Befera, nell'audizione del 22 gennaio scorso
alla Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria:
“Dei
545 miliardi teoricamente, saranno riscuotibili il 5 o il sei per
cento”.
Equitalia e Riscossione Sicilia sono in default, malgrado il “decreto
del fare” non hanno abbassato gli aggi, non sono in grado di
riscuotere oltre il 90% delle somme, ma continuano a bloccare le
imprese già in difficoltà. La domanda è terribilmente semplice:
cosa aspettiamo a chiedere con forza una profonda revisione del
sistema riscossivo? E'
come se anche noi lavorassimo sottraendo mentre invece serve
aggiungere.
Non sto mettendo in discussione il fatto che i debiti non debbano
essere onorati e le tasse non devono essere pagate. Dico che il
sistema, per bocca di chi lo sta gestendo non regge, quindi va
cambiato. La crisi è forte
ma «noi» pensiamo a lavorare sodo, fidandoci dei nostri istinti ma
soprattutto usciamo dall’ombra e attacchiamo. Da questa crisi si esce facendo, al meglio possibile, le cose che sappiamo fare soltanto noi.
P.s.
Giuseppe
Santocono
Presidente Cna Vittoria
Componente
direzione regionale CNA Sicilia
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